Tra i borghi che sono stati importanti manieri, c’è un luogo che testimonia del sorgere di monasteri italo – greci: Camerota, dove è possibile percorrere l'antico sentiero che attraverso i resti di antichi terrazzi marini conduce al monastero basiliano di S. Iconio (IX-X Sec.), esempio fulgido di una storia lunga, ricca e forse troppo poco conosciuta, ma fondamentale per chiunque voglia scoprire quanto è profondo il legame tra l’Oriente e l’Occidente.
Nei secoli successivi alla Guerra Gotica tra l'impero bizantino e gli Ostrogoti (V-VI secolo) si produsse un flusso migratorio di monaci greci, detti basiliani, la cui origine è nel monachesimo orientale basato sulle Regole di San Basilio (330-379), vescovo di Cesarea, studioso della Bibbia e della cultura stoica e neoplatonica, vicino ad altre due importanti figure della cristianità orientale di impronta ellenistica: S. Gregorio di Nissa, di cui è fratello, e S. Gregorio Nazianzeno, compagno di ritiro, che sono attivi in Cappadocia.
I monaci basiliani si rifugiarono nel Cilento e nei territori calabro - lucani in seguito allo scoppio della lotta iconoclasta voluta, nel 726 d.C., dall'imperatore Leone III Isaurico che sconvolse l'intero Oriente, costringendoli alla fuga.
Secondo l'insegnamento di San Basilio, infatti, l'immagine, al di là dell'iconolatria, rappresenta uno strumento di evangelizzazione che poteva facilmente comunicare alle masse dei fedeli la Parola di Dio.
In realtà già tempo prima, nel corso del VI secolo, durante la campagna militare contro i Goti guidata da Narsete (fondatore del castello di Roccagloriosa), molti religiosi erano venuti in Italia con le armate di Bisanzio, ed altre migrazioni seguirono alla conquista araba dei Balcani e all'ascesa al trono imperiale d'Oriente dell'imperatore Eraclio, fautore dell'eresia monotelita durante il VII secolo.
Tuttavia fu solo durante la lotta contro le immagini che il flusso migratorio nel Cilento divenne considerevolmente rilevante, allorché i monaci preferirono stanziarsi in territori esterni a quelli politicamente controllati dal basileus e quindi soggetti alle leggi iconoclaste. Sbarcati perlopiù a Velia, della quale conoscevano presumibilmente il nome per la venerazione delle reliquie dell'apostolo Matteo, i primi monaci basiliani procedevano verso l'interno in cerca di un luogo sicuro lontano dall'imperatore e dalle scorrerie saracene.
La seconda fase, quella lauriotica, portò i monaci a riunirsi dapprima in cellae e quindi in laurae. Si veniva così a sviluppare un nuovo modello: quello cenobitico o conventuale, che consisteva essenzialmente in un più stretto rapporto tra il monaco e il fedele. Molti aggregati monastici sorgono dunque in questa fase nei centri abitati, o al contrario veri villaggi sorgono per incellulamento accanto a primitivi monasteri. Presupposto essenziale per questa ulteriore evoluzione del monachesimo basiliano è certamente, in questo stadio, un sensibile aumento del flusso migratorio nella direzione del Cilento.
Ciò fu in buona parte dovuto all'oculata gestione politica dei principi longobardi di Salerno, i quali si resero conto dell'opportunità che veniva offerta dalla presenza dei monaci in quell'angolo sperduto del loro principato per lo sviluppo economico-sociale di quei territori. Furono dunque i principi di Salerno ad estendere la loro tuititio, la loro protezione, ai monaci italo - greci che sempre più numerosi giungevano “en tois meresi ton prinkipion”, nella regione dei principi, come si legge in un antico sinassario di Grottaferrata.
Cambiava, a questo punto, profondamente la figura del monaco che da asceta diveniva elemento attivo nel tessuto sociale delle campagne cilentane. Venivano ridotte a coltura, grazie alla loro opera, zone selvose e sterpose, altre erano dissodate, altre ancora adibite a piantagioni e, cosa più importante, autentici villaggi agricoli erano da essi costruiti nel circuito agrario del cenobio.
Fu San Fantino a stabilirsi nella zona del golfo di Policastro che divenne poi nota come Monte Bulgheria. Qui già da tempo esistevano delle cellae, e questa traccia è rimasta ai nostri giorni nel toponimo del Comune che sorge ai piedi del monte Bulgheria: appunto, Celle di Bulgheria.
La presenza basiliana nel Cilento è del resto riccamente documentata dall'agiografia, la quale testimonia l'eccezionale fiorire di Cenobi in quest'area. Nel monastero di San Nazario, nei pressi dell'odierna San Mauro La Bruca, San Nilo fu tonsurato monaco e nel Cilento il Santo di Rossano fu certamente nel 940 per sfuggire alle persecuzioni del tumarca: «egli penetrò in una regione tutta longobarda, ma pure ricchissima di eremi e cenobi bizantini», scrive il biografo del Santo a proposito del suo viaggio nel Cilento.
Ancora l'agiografia ci riferisce i nomi di alcuni santi tuttora venerati in un ampio territorio verso il quale si estese l'influenza basiliana: S. Saba, S. Nicodemo, S. Fantino, S. Demetrio, S. Nicola di Mira, S. Elia, S. Bartolomeo, S. Filadelfo, S. Cristoforo. Lo scisma del 1054, avvenuto proprio l'anno prima della morte di San Bartolomeo, non comportò la scomparsa del rito greco in queste terre, che dovette però affrontare la temibile ingerenza della Badia di Cava de'Tirreni, fondata da Sant'Alferio Pappacarbone e destinata, grazie alle numerose concessioni dei principi, a diventare sotto il dominio normanno il principale referente religioso del Cilento, portando tra l'altro ad una progressiva esautorazione delle diocesi locali.